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Sohail é individuo, corpo e seme, si fa strada, albero e radici, i suoi figli sono i frutti. Il suo spazio non ha confini.

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Centocinquanta ettari di boschi e vigne: un rapporto a ascinante tra natura e prodotto della terra, che, se per un verso si propone come binomio consueto, dall’altro, che lo si voglia o no, sorprende a ogni passo.

E ti coinvolge, ti rende autore per immagini di una realtà in tutta una serie di eventi, della storia che interagisce tra i tanti elementi che la compongono. Ripete inconfutabilmente come la natura sia bellezza ma sia anche la grande occasione dell’uomo che si pone con essa in relazione di consapevolezza e di rispetto gestendo e programmando lavoro e o rendolo a chi lo esegue e, come ad esempio Sohail, ne fa ragione di un suo percorso.

Carolina Ardizzone, cittadina del mondo, si è ritrovata al centro di un incrocio di vite, di relazioni, di nalità, di speranze, di desideri accantonati, di legami mai dismessi, con un tasello in de nitiva assai signi cativo di quanto agli occhi di ognuno di noi più volte si nasconde ma altrettanto si manifesta.

Vien l’idea che, pur avendo ben in vista il suo compito, abbia dovuto chiedersi quanto il suo “clic” fosse professionale e quanto suggerito dal bisogno di fermare comunque una pagina,

fortunatamente positiva, di luoghi e persone.
Perché attraversando quei grandi spazi dove da anni il pakistano Sohail spendeva il suo tempo lavorando la terra, una umanità senza vittime e senza eroi si riproponeva in tutta una traccia antropologica e sociale che il suo obbiettivo ferma dando ruolo al suo starci dentro. Una terra italiana della splendida campagna di Reggio Emilia dove, anche chi, come Sohail italiano non era, aveva nito per sentirsi a proprio agio. Se fermi l’immagine e la vuoi la più semplice e diretta possibile, in qualsiasi momento, qualcosa te la saprà narrare.

Nei “fenomeni di inurbamento che vanno declinati al futuro all’interno di una società”, la foto si pone come documento e non solo Sohail che come suo glio si staglia di spalle con la propria ombra, o di fronte con il sorriso sul superbo attrezzo che lo mostra al lavoro, i colori e le luci in quell’essere insieme di una famiglia in una posa da album, confermano che se nulla è de nitivo, se un pakistano riprenderà il suo viaggio portandosi dentro un pezzo di Italia e aiutando la moglie a riavvicinarsi, se vuole, alle proprie mai dimenticate radici, di nulla possiamo dolerci.

Una foto, poche foto, altre ancora, attimi che fermano un tempo che comunque scorre e che chiederà altre foto ancora.

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— Egle Palazzolo

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© 2020 Carolina Ardizzone

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